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»Ignorabimus«
von Arno Holz
in der Inszenierung
von Luca Ronconi
(1986)

Ignorabimus, Bühnenbild 5. Akt, 1986 in Prato
Bühnenbild 5. Akt

Seit Entstehung des Dramas »Ignorabimus« galt dieses Werk des Dichters und Dramatikers Arno Holz als »unaufführbar«, nur einmal, vor neunundfünfzig Jahren, unternahm der Regisseur Berthold Viertel den Versuch, dieses Großwerk auf der Bühne zu realisieren, in den fast 6 Jahrzehnten hatte seitdem kein Inszenator »gewagt«, eine Bewältigung des Stoffes zu versuchen. Keiner? Doch, ein Regisseur bewies in diesem Frühjahr Mut und Tatkraft, sich mit Arno Holz und »Ignorabimus« auseinanderzusetzen, der Italiener Luca Ronconi.

Cesare Mazzonis, der künstlerische Direktor der Scala von Mailand, nahm die Übersetzung des Werkes ins Italienische vor, Luca Ronconi, einer der bedeutendsten Regisseure des heutigen italienischen Theaters begann Anfang dieses Jahres mit den Proben und im Mai 1986 kam »Ignorabimus« in der Theaterwerkstatt von Prato bei Florenz heraus, das Werk ist dort zur Zeit noch bis zum 25. Oktober 1986 zu erleben.

Klaus M. Rarisch

AUTORI RITROVATI / IL MISTERIOSO ARNO HOLZ
Non Ignorabimus più
di Marco Vallora

Sconosciuto? Piuttosto, dimenticato. E con la messa in scena del suo «Ignorabimus» a Prato, il poeta-drammaturgo torna a far parlare di sé. Stravagante, dandy, eclettico, esotico, moderno. E da riscoprire.

Ora che non si fa altro che parlare dello spettacolo-kolossal che Luca Ronconi metterà in scena a Prato il 18 maggio, Ignorabimus (dramma spiritico della colpa che si svolge in un’unica giornata e durerà almeno otto ore) del cosiddetto «sconosciuto» Arno Holz, via via si viene a scoprire che questo poeta-drammaturgo non era poi così sconosciuto. Anzi. Il Dizionario degli autori Bompiani gli attribuisce generosamente un premio Nobel nel 㤥 che in realtà andò a Mann. È probabile che vi fosse comunque candidato, proprio l’anno della sua morte, in seguito al successo del suo volume di versi, continuamente riscritto e manipolato, Phantasus.

Ma che fosse noto, anche per i suoi fiaschi, per le sue stravaganze è un dato di fatto. «È uno di quegli autori in cui s’inciampa continuamente nelle storie della letteratura» conferma il germanista Giorgio Zampa «che s’incontra a ogni piè sospinto nelle antologie, a causa dei suoi manifeste teorici, dei suoi esperimenti narrativi». «Anche se non lo si legge mai veramente» aggiunge Cesare Cases «le sue opere, sin’allora introvabili, sono state ristampate nei primi anni Settanta, in dodici o più volumi: quando li ho visti sono stato colto dallo sgomento, ho pensato a quanta letteratura, in vita mia, non ho letto e non leggerò più».

Un poeta ufficiale, dunque?

Certo un personaggio stravagante, che cambiava tendenze letterarie come si trattasse di panciotti e mutava teorie soprattutto in seguito ai non infrequenti insuccessi. «Quando noi diciamo naturalismo» osserva Ronconi «pensiamo a Hauptmann, a Zola, al verismo italiano. Nulla di più diverso, per Holz, che annette e discute tutto, dal naturalismo all’occultismo».

Holz e il perfetto rappresentante di quella sensibilità eclettica, sincretistica, che domina il periodo fine secolo di cui uno storico della cultura come Ladislao Mittner evidenzia «il caos degli stili e un eccesso di cultura troppo rapidamente assimilata». È come la stanza del protagonista di un dramma di Holz, che non a caso si chiama Sozialaristokraten. C’è dentro di tutto: tazzine da tè cinesi, il busto di Schiller, un modellino in cartone della casa di Dürer, le tre Grazie fatte di biscotto, la poltrona di Lutero.

E il feroce Musil, che non si lasciava sfuggire questi deliri culturali, tuonava contro quel clima, in cui «si adorava il sole e la salute, e la gracilità delle ragazze tisiche, si sognava di parchi antichi, di pietre preziose, di hashish, malattia e demonismo, ma anche di fabbriche metallurgiche, di rivolte di schiavi e della distruzione declla società». Non compresenza di tendenza, spiega ancora Mittner, ma pericolosa interscambiabilità: «Così i problemi politico-sociali si dissolvevano nell’estetismo, che a sua volta anclava a trasformarsi in una nuova realtà politico-sociale».

Figura emblematica di questa ambiguità che tutto annetteva, nevroticamente, Holz fu, insieme e progressivamente, un rigido propugnatore del credo naturalista e uno squisito versificatore simbolista. «Così come la pittura impressionista fu suggestionata dall’arte giapponese» spiega Cases «il fragile, malleabile poeta di Phantasus fu influenzato dalla lirica cinese e ci lasciò degli estenuati acquerelli floreali, raffinate immagini di paesaggi, brevi frammenti artificiosissimi. Non fu mai un poeta dai contenuti robusti. Eclettico, si lasciò influenzare soprattutto dalla poesia barocca. E con Dafnis ci offri un calco dei canti di esaltazione goliardica del vino e delle donne».

Poeta del pastiche per eccellenza, Holz non finì mai di ritoccare e ampliare i suoi versi, anticipando quell’elefantiasi cosmica che sarà caratteristica dei suoi drammi teatrali. La curiosità di Phantasus per esempio – opera dedicata al Re notturno che ci invia i sogni – è che alla sua prima apparizione non consisteva che in rarissime estenuate pagine di versi: alla fine della carriera il libro constava di tre volumi di oltre millecinquecento pagine. E così, una poesia iniziale di pochi versi, ne mostrava alla fine oltre 2.516!

La grande novità di Holz, alle soglie del Novecento, fu quella si sottrarre alla poesia ogni musicalità convenzionale, effusiva: via la rima, via le assonanze. Il manifeste Rivoluzione della lirica anticipando l’espressionismo predicava appunto che ogni parola isolata ricercasse e ricreasse il proprio «ritmo immanente», il quale «risulta spontaneo dal contenuto stesso delle parole».

Parole tipograficamente disposte secondo un disegno prestabilito, a forma di croce o di piramide: in questo anticipando i calligrammi di Apollinaire, che sarebbero arrivati dopo il 1918. Inevitabile, poi, che in questo clima estetizzante, tante parole isolate e scomposte (secondo quel «Telegrammstil», individuato da un teorico del momento) evocassero una mistica dell’io. Darwinianamente, ogni cosa evolve sino a incarnarsi nell’eloquio del poeta, che ammette: «Sette bilioni di anni prima della mia nascita / io ero un giaggiolo».

All’opposto, invece, la drammaturgia di Holz, tramata all’insegna del «naturalismo conseguente», cancella via ogni presenza dello scrittore che deve registrare «fono-fotograficamente» i brandelli di realtà. Polemico persino con il naturalismo di Zola, che rifletteva ancora troppo il «temperamento» dello scrittore, Holz predica un’arte che deve mostrare la propria «tendenza a ridiventare natura», cioè essere un frammento oggettivissimo di realtà, secondo l’estetica dell’«istantanea» fotografica.

E non a caso, per essere ancora più «scientifico» egli usa una formula matematica: «arte = natura – x», in cui l’x sarebbe appunto la pericolosa intromissione della creatività dell’artista. Proprio per fuggire questo rischio, per distruggere la figura romantica del creatore, Holz firma i propri lavori in collaborazione con l’amico Johannes Schlaf e lo pseudonimo scandinavo di Bjarne P. Holmsen, sintomo eloquente del gusto del momento, che esaltava Ibsen e Strindberg.

È con Schlaf, del resto, che scrive anche le sue prose narrative, anzi, i suoi «studi novellistici», drammi dell’insulso e dell’attesa come il trittico Papà Hamlet (storia di un attore che muore assiderato, senza mai aver realizzato il sogno di recitare il ruolo shakespiriano). «La vera sorpresa» suggerisce Zampa «e il racconto Ein Tod, che racconta la morte di uno studente per duello, assistito da due distratti amici, che cercano di star desti per vegliarlo. È una sorta di documentario cinematografico, un filmetto al rallentatore, fatto di parole, secondo la tecnica della sovrimpressione del muto. Un racconto oggi insopportabile, ma si capisce che abbia rappresentato un miracolo, all’epoca, e che sia presente in tutte le antologie, come prova di sperimentalismo tecnico».

L’aggancio più impensabile di Holz con la modernità, forse consiste proprio in quest’ossessione di meticolosità iperealista, da Nouveau Roman, che si volge in delirio stilistico. Del resto lo spaccato domestico di Die Familie Selicke, minuziosissimo e insieme visionario, potrebbe ricordare certi processi maniacali di Butor o di Georges Perec. «Il problema è di capire di quale modernità si tratta» avverte coerentemente Ronconi.

È vero per esempio che il giovanissimo Holz aveva esordito con alcuni amici sotto la bandiera-manifesto del Die Moderne, sostenendo: «Il nostro mondo non è né classico, né romantico, semplicemente moderno» ma tra i contemporanei, soltanto Heissenbüttel ed Emrich vedono oggi in lui un precursore delle avanguardie. «Questo non lo sosterrei» replica Ronconi «é vero che le battute dei personaggi di Ignorabimus spesso non raggiungono un senso logico, sono rotte, scardinate, esplose. Ma tutto questo non tocca la sostanza dell’intero meccanismo drammaturgico, che è invece perfetto, tradizionalissimo, fin troppo solido. Certo Holz è più moderno di certi suoi contemporanei, di Gide o di D’Annunzio, ma non mi sembra che proceda nel senso delle avanguardie. Il suo teatro rimane un feuilleton, una tragedia greca mediata attraverso le strutture del romanzo poliziesco, la novità delle sedute spiritiche. Certo, un feuilleton cinico, consapevole: lo scienziato-protagonista «prova» tutte le ideologie possibili, per dimostrarci che nessuna di queste è valida, che nulla aiuta a capire veramente». Ancora una volta siamo dalle parti di Flaubert, al Bouvard e Pécuchet, allo sciocchezzaio novecentesco.

Panorama, 18.5.1986
 

Franca Nuti
Franca Nuti als Prof. Dufroy-Regnier
(gemeint ist Emil du Bois-Reymond)

Delia Boccardo
Delia Boccardo als Marianne,
Dufroy-Regniers Tochter


Klaus M. Rarisch fuhr damals zur »Ignorabimus«-Aufführung nach Prato.
Und schreitet ein, wenn hiesige Berichterstatter mit Blindheit geschlagen sind:
 

Triumph mit Arno Holz

In der Glosse »Strehlers Erbe« (Tsp. vom 16.7.) hieß es über Luca Ronconi: »seine kühnste Aufführung war im toskanischen Prato ... einst eine neunstündige Version des ›Turms‹ von Hoffmannsthal, und Ronconis aufwendigste Unternehmung galt 1990 in Turin den ›Letzten Tagen der Menschheit‹ von Karl Kraus«.

Nichts gegen Hofmannsthal und Kraus, aber Ronconis kühnste und aufwendigste Unternehmung war 1986 in Prato die ungekürzte, zwölfstündige Aufführung des »Ignorabimus« von Arno Holz. Es war ein millionenschwerer Triumph, wie die gesamte italienische Presse bestätigte. Ein Kritiker schrieb wahrheitsgemäß: »Man hätte, vor Freude verrückt werden können«. Das Stück thematisiert die Berliner Kulturgeschichte wie kein anderes; es wurde in Berlin noch nie gezeigt.

Den naheliegenden Vorschlag, Ronconis Ensemble zu einem Gastspiel nach Berlin einzuladen, lehnten allerdings die zuständigen Kulturpolitiker unter grotesken Vorwänden ab.

KLAUS M. RARISCH,
Berlin-Wittenau

DER TAGESSPIEGEL, 3.8.1998
 

Edmonda Aldini
Edmonda Aldini als Prof. Georg Dorninger

Anna Maria Gherardi
Anna Maria Gherardi als Baron Üxküll

Zitate aus der italienischen Presse

Tragische Familienchronik mit Phantomen

Gigantische Inszenierung des deutschen Dramas, das um die Jahrhundertwende das ewige Dilemma zwischen Vernunft und Mysterium darstellt. – Zwischen Momenten höchsten Theaters und gelegentlichem Spannungsabfall, eine unwiederholbare Erfahrung; im Mittelpunkt außerordentliche Schauspielerinnen in Männerkleidung, die Nuti, die Aldini, die Fabbri, die Gherardi und Delia Boccardo in der einzigen Frauenrolle. – Donnernder Beifall.
Es gibt Momente höchsten Theaters, wo die Stimmung des Grand Guignol, die den Text hier und da unterirdisch durchzieht, in Bilder von großer und beunruhigender Prägnanz verwandelt wird.

CORRIERE DELLA SERA
 

Ronconi, das moderne Theater und Holz

Die für unaufführbar gehaltene Tragödie von 1913 bietet dem Regisseur ein weites Feld für Entdeckungen – Fünf große Schauspielerinnen, ein Bühnenbild aus Ziegelmauern und Eisenbeton – Die Handlung verläuft in realer Zeit, das Schauspiel dauert von 15 bis 2 Uhr morgens.
Für die fünf Interpreten und den Regisseur heftigster Applaus.

LA STAMPA
 

Ignorabimus vollständig – Arno Holz von Ronconi realisiert

Es ist ein echtes Ereignis, das im Theater Fabbricone in Prato am Sonntag nachmittags bis nachts, sich gleichsam verzehrend, vonstatten ging. Mehr als die einzelnen Aspekte des Unternehmens hat wahrscheinlich ihre Gesamtheit und die Handlung mit einer Woge von theaterunüblichen Emotionen das Publikum überschwemmt, das genau um drei Uhr nachmittags das Fabbricone betreten hatte, um nach genau zwölf Stunden den erschöpften Schauspielerinnen und dem Regisseur mehr als zehn Minuten lang kraftvoll und erschüttert zu applaudieren.

IL MANIFESTO
 

Die Eingeschlossenen von Berlin

Abnorm, ungeheuer, dahinströmend, präsentiert sich das Riesendrama IGNORABIMUS wie eine jener imaginären Kathedralen, die sich als Teil eines gigantischen Projektes in tausend Verzweigungen verlieren, um wie in ein systematisches Delirium einzumünden. – Ronconi hat dem Riesenstrom der Tragödie eine majestätische Doppeldeutigkeit verliehen.

IL MESSAGGERO
 

Luca Ronconi beweist uns erneut:
das ist noch großes Theater

Marisa Fabbri
Marisa Fabbri als Onkel Ludwig

Man wird einwenden, daß es sich um ein elitäres Schauspiel handelt, um eine kostspielige Torheit, die der Kürzungen bedarf. Nichts dagegen zu sagen, nur eine simple Kleinigkeit: daß unserem Publikum vielleicht zum ersten Mal ein praktisch totgeschwiegener Klassiker vorgestellt worden ist. Das von Ronconi präsentierte Schauspiel beschenkt uns mit unerschöpflichen Emotionen.
Besser mit tragischen Schauern auf der Höhe der Tradition, die ihre Schutzgötter in Strindberg und Ibsen besitzt. Und es zählt wenig, daß der Höllenmechanismus, der durch eine Ehebruchszene in Bewegung gesetzt wird und den langen Schatten eines Fluches auf ein Geschlecht von Wissenschaftlern herabfallen läßt, daß dieser Mechanismus mit einer Katastrophe in dem durch Sünde entweihten Rosenzimmer zu Ende geht, weil Ronconi sich im richtigen Moment in kluger Distanz zu halten versteht.
Also: Ohne Mitleid die verschiedenen Register ziehen, im Geschmack des Surrealen, nicht ohne offenbare Huldigungen für den Kult des Geheimnisvollen, der in der heutigen Gesellschaft immer mehr um sich greift.
Ein authentisches Beispiel für großes Theater. Ein Ereignis, das, ohne die geringste Furcht vor Dementis, meinen unvergeßlichen Freund Renato Ghiotto hätte vor Freude verrückt werden lassen. Ein Verdienst des Regisseurs, der sich noch einmal auf der Höhe seines Ruhmes zeigt, ein Verdienst der Bühnenbildnerin Margherita Palli, aber auch ein Verdienst der Schauspielerinnen, die die Anstrengung des ungewöhnlichen Bühnenmarathons von cirka zwölf Stunden durchgestanden, die buchstäblich Wunder vollbracht haben. Beifallsstürme.

IL GAZETTINO

Übersetzungen von Klaus M. Rarisch